lunedì 17 dicembre 2007


Skygardening

Vorrei pubblicare sul mio blog un contributo che credo interessante da un lato, e un po' "pericoloso" dal punto di vista paesaggistico e ambientale, nel senso che almeno nella prima parte quando si riferisce all'uso dell'automobile, è chiaro che lo skygarden non serve per migliorare in se la qualità dell'aria bensì per "favorire" la circolazione delle vetture senza limiti al traffico, facendo leva sul fatto (a mio avviso opinabile fino ad un certo punto) che le piante assorbaono anidiride carbonica e "filtrano" l'aria. Credo importante invece, reinterpretnado l'articolo, che il ritorno del giardino pensile possa mitigare (beninsteso non giustificare) la realizzazione di aree urbane, anche se è chiaro che le questioni legate al paesaggio purtroppo restano irrimediabilmente alterate. Tuttavia credo che per il momento, se adottata con altre soluzioni a livello locale realativa all'energia rinnovabile possa rappresentare uno step innovativo per le zone fortemente urbanizzate. Una soluzione di passaggio, verso una nuova coscienza dei nostri luoghi.
Il contrubuto viene dal sito internet www.Skygardenproject.it dal quale pubblico l'introduzione al libro "skygarden Il giardino sul tetto" a cura di Maurizio Corrado.

Sono arrivato ai giardini pensili partendo dall’automobile. Appartengo a quella schiera di persone che prova un profondo fastidio quando vede la propria libertà di movimento frenata da motivi che non condivide e ho sempre pensato che combattere l’inquinamento dell’aria limitando il traffico automobilistico dei singoli sia come combattere un incendio con un paio di bicchieri d’acqua. Ci vuole ben altro. Ma cosa? Chiunque dotato di logica riesce a comprendere che anche se in un determinato luogo non circolano autoveicoli, per esempio nel centro delle città, ma circolano fuori, il livello di inquinamento dell’aria rimane inalterato per il semplice motivo che l’aria si muove, è banale ma è così. Allo stesso modo, è evidente che se eliminiamo il traffico per un giorno, quel giorno avrò meno scarichi dannosi, ma il giorno seguente sarò esattamente al punto di prima, solo, con una serie di persone sempre più imbufalite. Tutto ciò, fingendo di dimenticare che la percentuale più alta dell’inquinamento dell’aria non è data dal traffico, ma dagli scarichi degli impianti del riscaldamento e delle industrie. E’ evidente che la logica delle amministrazioni segue altri percorsi. Allora, che fare? Quale può essere un sistema valido, efficace, sperimentato, duraturo, che si possa inserire bene nelle logiche di una amministrazione e in grado di risolvere gli infiniti problemi di qualità dell’aria nelle città alla radice, in modo permanente e sicuro? Sembra impossibile, ma la risposta c’è, e per giunta sperimentata e sicura. Il principio è semplice e logico: esiste un elemento che, per sua natura, trasforma l’aria inquinata in aria sana e respirabile: sono le piante. Più aumentano le piante, più diminuisce l’inquinamento. E non è un palliativo, ma un effetto duraturo e permanente. Ma come facciamo ad aumentare la quantità di piante nelle nostre città, dove ogni minimo spazio deve essere sfruttato al massimo, deve rendere, deve essere abitabile? Non possiamo certo fare giardini dove ci sono case e uffici. Dove sono, nelle nostre città, degli spazi inutilizzati da trasformare in giardino? In sostanza, dove possiamo mettere piante in modo da non creare fastidi, da non rubare spazio e magari avendo delle convenienze economiche per tutti, abitanti e amministrazioni? Sui tetti.

Già, i tetti. Gli unici spazi veramente inutilizzati delle città, luoghi in cui non va mai nessuno, immense distese di lastricati deserti, roventi d’estate e ghiacciati d’inverno. Spazi aperti, a disposizione di tutti e utilizzati da nessuno, ai quali nessuno pensa. Quando ho cominciato ad occuparmene, qualche anno fa, ho avuto sempre le stesse reazioni: sguardi imbarazzati e sorrisi che cercavano inutilmente di nascondere la convinzione di avere a che fare con un matto o, al meglio, con un idealista. Analoghe reazioni mi sono state riportate dagli operatori con decine d’anni d’esperienza. Gli amministratori invece pare siano ossessionati dall’idea di fare una prova, di vedere coi propri occhi se funziona. A nulla vale il dato concreto delle centinaia di giardini pensili ormai presenti su tutto il territorio nazionale, perfettamente funzionanti e attivi. A nulla valgono gli oltre quarant’anni di esperienza maturati in Germania e le decisioni di amministrazioni certamente non avventate come quelle di Tokyo, Chicago, Toronto e delle altre città che già stanno usando i giardini pensili come arma efficace contro l’inquinamento. No, qui si preferisce rimanere “coi piedi per terra” e dare la colpa dell’inquinamento a chi pretende di muoversi liberamente in motorino. Sono convinto che, almeno ogni tanto, valga la pena di alzare gli occhi e guardare in alto.

giovedì 6 dicembre 2007

Pensare il futuro

Con pochi decenni di petrolio ancora davanti, torna prepotentemente alla ribalta il nucleare che aveva subito una brusca battuta d'arresto dopo l'incidenti di Chernobyl in Ucraina.
Energia pulita, infinita e a basso costo nochè con bassissime quantità di gas emessi in atmosfera..
Eppure c'è un però..
Un però che può costare molto caro, non solo in termini ambientali.
Innanzitutto forse pochi sanno che il combustibile (le barre di uranio) vanno sostituite ogni sei mesi, con delle nuove barre.
Quelle sostituite mantengono un calore così intenso da dover essere raffeddate prima in vasche d'acqua annesse alla centrale continuando ad emettere raggi alfa, beta e gamma e poi sottoposte in appositi impianti ad un trattamento chimico per la separazione dei vari elementi.
Una parte dell'uranio non trasformato dalla fissione viene recuperato mentre vi è un accantonamento del plutonio e delle altre scorie.
Scrive Carlo Rubbia nel suo libro intitolato "Il dilemma nucleare": "si apre a questo punto il grave problema dell'eliminazione dei rifiuti radioattivi. Con vari metodi sono inceneriti, macinati, pressati, triturati e vetrificati e inglobati in fusti impermeabili a loro volta disposti in recipienti di acciaio inossidabile, veri e propri sarcofgi in miniatura.
Queste "vergogne" dell'energia nucleare vengono nascoste nelle profondità sottereanee e marine. Non abbiamo la minima idea di quello che potrebbe succedere dei fusti con tonnellate di sostanze radioattive che abbiamo già seppellito e di quelli che aspettano di esserlo.
Ci liberiamo di un problema passandolo in eredità alle generazioni future, poichè queste scorie saranno attive per millenni. La sicurezza assoluta non esite più: i cimiteri radioattivi possono essere violati da terremoti, bombaradmenti, atti di sabotaggio...a mio parere queste scorie rappresentano delle bombe ritardate. Le nascondiamo pensando che non ci saremo per risponderne personalmente."
"E' l'invisibilità del danno a rendere la tragedia più drammatica".
Non voglio essere il solito bastian contrario a cui non va bene niente o l'allarmista o quello che la porta nera, ma tutt'oggi il problema dello stoccaggio dei residui radioattivi è un problema mondiale.
Personalmente credo che è necessario potenziare al massimo le vere energie rinnovabili (solare, eolica, geotermica, idroelettrica, delle maree) guardando per ogni luogo le potenzialità di cui dispone.
Non è più tempo di costruire enormi centrali bensì di localizzare e produrre l'energia che serve all'interno di ogni singolo abitato, come già avviene in una cittadella sperimentale in Germania.
Tutto questo richiede il risparmio dell'energia e la minimizzazione degli sprechi in palese contrasto con la società consumistica di cui facciamo parte e che con tutta probabilità non accetterà finita l'era del petrolio di passare a questa fase di rinnovabilità..
L'ossimoro Sviluppo sosteniblie è destinato a diventare un "finchè la barca va.." che tanto come ci ricorda Rubbia, pensiamo che non ci saremo più per rispondere personalmente dei danni che abbiamo causato.