lunedì 17 dicembre 2007


Skygardening

Vorrei pubblicare sul mio blog un contributo che credo interessante da un lato, e un po' "pericoloso" dal punto di vista paesaggistico e ambientale, nel senso che almeno nella prima parte quando si riferisce all'uso dell'automobile, è chiaro che lo skygarden non serve per migliorare in se la qualità dell'aria bensì per "favorire" la circolazione delle vetture senza limiti al traffico, facendo leva sul fatto (a mio avviso opinabile fino ad un certo punto) che le piante assorbaono anidiride carbonica e "filtrano" l'aria. Credo importante invece, reinterpretnado l'articolo, che il ritorno del giardino pensile possa mitigare (beninsteso non giustificare) la realizzazione di aree urbane, anche se è chiaro che le questioni legate al paesaggio purtroppo restano irrimediabilmente alterate. Tuttavia credo che per il momento, se adottata con altre soluzioni a livello locale realativa all'energia rinnovabile possa rappresentare uno step innovativo per le zone fortemente urbanizzate. Una soluzione di passaggio, verso una nuova coscienza dei nostri luoghi.
Il contrubuto viene dal sito internet www.Skygardenproject.it dal quale pubblico l'introduzione al libro "skygarden Il giardino sul tetto" a cura di Maurizio Corrado.

Sono arrivato ai giardini pensili partendo dall’automobile. Appartengo a quella schiera di persone che prova un profondo fastidio quando vede la propria libertà di movimento frenata da motivi che non condivide e ho sempre pensato che combattere l’inquinamento dell’aria limitando il traffico automobilistico dei singoli sia come combattere un incendio con un paio di bicchieri d’acqua. Ci vuole ben altro. Ma cosa? Chiunque dotato di logica riesce a comprendere che anche se in un determinato luogo non circolano autoveicoli, per esempio nel centro delle città, ma circolano fuori, il livello di inquinamento dell’aria rimane inalterato per il semplice motivo che l’aria si muove, è banale ma è così. Allo stesso modo, è evidente che se eliminiamo il traffico per un giorno, quel giorno avrò meno scarichi dannosi, ma il giorno seguente sarò esattamente al punto di prima, solo, con una serie di persone sempre più imbufalite. Tutto ciò, fingendo di dimenticare che la percentuale più alta dell’inquinamento dell’aria non è data dal traffico, ma dagli scarichi degli impianti del riscaldamento e delle industrie. E’ evidente che la logica delle amministrazioni segue altri percorsi. Allora, che fare? Quale può essere un sistema valido, efficace, sperimentato, duraturo, che si possa inserire bene nelle logiche di una amministrazione e in grado di risolvere gli infiniti problemi di qualità dell’aria nelle città alla radice, in modo permanente e sicuro? Sembra impossibile, ma la risposta c’è, e per giunta sperimentata e sicura. Il principio è semplice e logico: esiste un elemento che, per sua natura, trasforma l’aria inquinata in aria sana e respirabile: sono le piante. Più aumentano le piante, più diminuisce l’inquinamento. E non è un palliativo, ma un effetto duraturo e permanente. Ma come facciamo ad aumentare la quantità di piante nelle nostre città, dove ogni minimo spazio deve essere sfruttato al massimo, deve rendere, deve essere abitabile? Non possiamo certo fare giardini dove ci sono case e uffici. Dove sono, nelle nostre città, degli spazi inutilizzati da trasformare in giardino? In sostanza, dove possiamo mettere piante in modo da non creare fastidi, da non rubare spazio e magari avendo delle convenienze economiche per tutti, abitanti e amministrazioni? Sui tetti.

Già, i tetti. Gli unici spazi veramente inutilizzati delle città, luoghi in cui non va mai nessuno, immense distese di lastricati deserti, roventi d’estate e ghiacciati d’inverno. Spazi aperti, a disposizione di tutti e utilizzati da nessuno, ai quali nessuno pensa. Quando ho cominciato ad occuparmene, qualche anno fa, ho avuto sempre le stesse reazioni: sguardi imbarazzati e sorrisi che cercavano inutilmente di nascondere la convinzione di avere a che fare con un matto o, al meglio, con un idealista. Analoghe reazioni mi sono state riportate dagli operatori con decine d’anni d’esperienza. Gli amministratori invece pare siano ossessionati dall’idea di fare una prova, di vedere coi propri occhi se funziona. A nulla vale il dato concreto delle centinaia di giardini pensili ormai presenti su tutto il territorio nazionale, perfettamente funzionanti e attivi. A nulla valgono gli oltre quarant’anni di esperienza maturati in Germania e le decisioni di amministrazioni certamente non avventate come quelle di Tokyo, Chicago, Toronto e delle altre città che già stanno usando i giardini pensili come arma efficace contro l’inquinamento. No, qui si preferisce rimanere “coi piedi per terra” e dare la colpa dell’inquinamento a chi pretende di muoversi liberamente in motorino. Sono convinto che, almeno ogni tanto, valga la pena di alzare gli occhi e guardare in alto.

giovedì 6 dicembre 2007

Pensare il futuro

Con pochi decenni di petrolio ancora davanti, torna prepotentemente alla ribalta il nucleare che aveva subito una brusca battuta d'arresto dopo l'incidenti di Chernobyl in Ucraina.
Energia pulita, infinita e a basso costo nochè con bassissime quantità di gas emessi in atmosfera..
Eppure c'è un però..
Un però che può costare molto caro, non solo in termini ambientali.
Innanzitutto forse pochi sanno che il combustibile (le barre di uranio) vanno sostituite ogni sei mesi, con delle nuove barre.
Quelle sostituite mantengono un calore così intenso da dover essere raffeddate prima in vasche d'acqua annesse alla centrale continuando ad emettere raggi alfa, beta e gamma e poi sottoposte in appositi impianti ad un trattamento chimico per la separazione dei vari elementi.
Una parte dell'uranio non trasformato dalla fissione viene recuperato mentre vi è un accantonamento del plutonio e delle altre scorie.
Scrive Carlo Rubbia nel suo libro intitolato "Il dilemma nucleare": "si apre a questo punto il grave problema dell'eliminazione dei rifiuti radioattivi. Con vari metodi sono inceneriti, macinati, pressati, triturati e vetrificati e inglobati in fusti impermeabili a loro volta disposti in recipienti di acciaio inossidabile, veri e propri sarcofgi in miniatura.
Queste "vergogne" dell'energia nucleare vengono nascoste nelle profondità sottereanee e marine. Non abbiamo la minima idea di quello che potrebbe succedere dei fusti con tonnellate di sostanze radioattive che abbiamo già seppellito e di quelli che aspettano di esserlo.
Ci liberiamo di un problema passandolo in eredità alle generazioni future, poichè queste scorie saranno attive per millenni. La sicurezza assoluta non esite più: i cimiteri radioattivi possono essere violati da terremoti, bombaradmenti, atti di sabotaggio...a mio parere queste scorie rappresentano delle bombe ritardate. Le nascondiamo pensando che non ci saremo per risponderne personalmente."
"E' l'invisibilità del danno a rendere la tragedia più drammatica".
Non voglio essere il solito bastian contrario a cui non va bene niente o l'allarmista o quello che la porta nera, ma tutt'oggi il problema dello stoccaggio dei residui radioattivi è un problema mondiale.
Personalmente credo che è necessario potenziare al massimo le vere energie rinnovabili (solare, eolica, geotermica, idroelettrica, delle maree) guardando per ogni luogo le potenzialità di cui dispone.
Non è più tempo di costruire enormi centrali bensì di localizzare e produrre l'energia che serve all'interno di ogni singolo abitato, come già avviene in una cittadella sperimentale in Germania.
Tutto questo richiede il risparmio dell'energia e la minimizzazione degli sprechi in palese contrasto con la società consumistica di cui facciamo parte e che con tutta probabilità non accetterà finita l'era del petrolio di passare a questa fase di rinnovabilità..
L'ossimoro Sviluppo sosteniblie è destinato a diventare un "finchè la barca va.." che tanto come ci ricorda Rubbia, pensiamo che non ci saremo più per rispondere personalmente dei danni che abbiamo causato.

lunedì 26 novembre 2007

"Squallidare"


La foto ritrae una sfilata di scheletri lignei a bordo strada. "L'arredo urbano" non deve mancare mai, col fine di mitigare ed intristire il contesto e calmare gli ambientalisiti moderati, facendo inorridire quelli radicali nochè facendo fuggire con le mani nei capelli i paesaggisti.



Ecco finalmente la realtà offline rispetto alla grafica da Second Life dei progettisti che a mio avviso stanno perdendo il contatto con questo tipo di realtà rispetto a quella online dove se la cavano benissimo.

La frattura nel paesaggio è netta e ben percepibile, da tenere presente che la foto è stata scattata da un incrocio quindi sono le istantanee dalle due direzioni ortogonali rispetto allo stesso punto.




Funzionalità e razionalizzazione dello spazio: ecco l'enorme discrepanza fra la computer grafica dove il verde prospera, i marciapiedi e le strade non hanno una crepa e i cieli sono limpidi e tersi nonostante la vicinanza della tangenziale di Mestre.

Loculi per esseri esistenti

E' il perverso meccanismo economico che favorisce e certamente giustifica la realizzazione di edifici per risiedere o per lavorare costruiti in un certo modo.
Chi non possiede denaro a sufficienza è del tutto "ovvio" che sarà costretto da una violenza strutturale a risiedere in luoghi periferici e squallidi, oppure in quei nuovi loculi (che assumono nomi idilliaci quali "residance","bivilla","villetta a schiera") che vanno distruggendo il nostro paesaggio, poichè l'umile status economico di queste persone giustifica la bruttura e lo squallore.
I giovani hanno problemi con case e mutui, ma la casa è pur sempre un valore quindi è giustificata la realizzazione di progetti scadenti a basso costo, nei quali non conta certamente la qualità dello spazio abitabile bensì la pubblicità, la "zona centrale" comoda (per cui il traffico è continuo 24 ore al giorno e l'inquinamento non ti consente di aprire le finestre) nonchè la vicinanza con stazioni, centri commerciali, fermate del bus..insomma tutto quello che è funzionale: non importa come vivi e se la notte riesci a dormire, ma quel che conta è che sei vicino al centro commerciale per i tuoi acquisti oppure vicino alla tangenziale così sei comodo se esci in auto.
Non manchiamo certo di progettualità o pianificazione del paesaggio bensì semplicemente di volontà nel farlo.
"Not in my backyard" è il motto dei più abbienti per cui non vedrete mai persone di quello status che non curano lo spazio che gli appartiene attorno alla loro abitazione, ma appena passate la siepe che oscura tutto..riprende il sopravvento lo squallore, in quanto non mi appartiene nemmeno "sentimentalmente", non c'è contestualizzazione, tutto è realizzato con il parametro di base di "funzionalità" e "razionalizzazione" dello spazio, il recente valore che ci sta distruggendo interiormente ed esteriormente.

domenica 25 novembre 2007

Periferie dell'anima





Periferia della città e dell'anima, l'anonimità, la mancanza di riferimenti, la non addomesticabilità dei luoghi che li rendono perciò dei non-luoghi.

Solo una siepe fitta a alta può oscurare la vista dell'esterno, a ricordare il proverbio:"occhio non vede, cuore non duole".

Questo è solo un esempio del quartiere "Terraglio" a Mestre, incastrato fra l'omonima statale per Treviso e la tangenziale per Padova, Trieste, Belluno.

sabato 24 novembre 2007

Non luoghi

La periferia non ha centro, non ha piazze o zone di ritrovo ugualmente riconosciute da tutti gli abitanti per organizzare la socialità, bensì microcosmi di significato nei quali piccoli e frammentari gruppi sociali decidono di reinventare ed addomesticare tentando di emergere dall'anonimato.
Non ci sono punti di riferimento, tutto è "simile", un mare di non luoghi ai quali non ci riesce ad affezionare se non per abitudine.
Patetici tentativi di arredo urbano di scarso valore tentano di mitigare e di ridare addomesticabilità ai posti, rendendoli spesse volte anocra più tristi ed anonimi: piste cicliabili che termiano in stradoni super-trafficati, filari d'alberi bassi e rinsecchiti in aiuole dove l'erba non crescerà mai e dove molto prima cresceranno i cumuli di rifiuti, nonchè piccoli ritagli di piazzette cementificate giustificate dagli architetti come "tentativo di ridare uno spazio sociale al quartiere" ipercementificato in cui al massimo cambia il colore del pavimeto della piazzola.
Regna sovrana la malinconia e la sera è l'unica in grado di mitigare quella tristezza celando il tutto dietro un velo di tenebre.
E' un non luogo fatto (e pensato purtroppo spesso come tale), concepito e progettato solo per dormire e mangiare, è realizzato come unico stacco dalla vita lavorativa, un loculo in cemento dove recuperare le forze per il giorno successivo: mera sopravvivenza, nulla più.

venerdì 16 novembre 2007

Rischio si, ma la colpa?

I consigli del prof. Falciasecca e le Leggi dello Stato dal sito Elettrosmog
Giugno 99 - Ecco cosa dice il professor Gabriele Falciasecca, della Fondazione Marconi di Bologna: Gli studi scientifici condotti finora non giustificano l’apprensione che si e' creata sugli effetti biologici dei telefonini, ma ci sembra giusto concedere a quanti sono preoccupati ampi spazi di cautela. Anche se non si tratta di precauzioni obbligatorie, il telefonino puo' essere usato senza tenerlo attaccato alla testa, per mezzo dei dispositivi che fra l’altro consentono di avere le mani libere, come il viva-voce oppure l’auricolare-microfono. Si possono usare dei ritrovati che assorbono parzialmente le onde emesse dall’antenna, anche se la loro efficacia mi sembra ancora molto limitata. In genere e' meglio evitare di tenerlo a stretto contatto con il corpo, per ridurre al minimo l’assorbimento dell’energia da parte dei sistemi biologici. La dichiarazione e' stata pubblicata dal Corriere della Sera dell’8 giugno 1999 (pagina 18). Stupisce, e molto, che un esperto come il prof. Falciasecca parli di prescrizioni che non sono obbligatorie. Lo sono eccome, invece. Esiste infatti una Legge cautelativa dello Stato (il decreto del 20 giugno 95, n.458) che impone di usare il telefonino tenendo l’antenna ad almeno 20 centimetri di distanza da qualsiasi parte del corpo. Esiste, ma non se ne parla mai. La Fondazione Marconi - Elettra 2000 e' un autorevole organismo finanziato da Tim, Omnitel e Wind. Fonti: Corriere della Sera, Gazzetta Ufficiale R.I., Fondazione Marconi

Omertà aziendale, complicità giornalistica

Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana - 4/11/1995 - Serie generale n. 258DECRETI, DELIBERE E ORDINANZE MINISTERIALI
MINISTERO DELLE POSTE E DELLE TELECOMUNICAZIONI DECRETO 20 giugno 1995, n. 458 Rettifica al regolamento recante norme per la trasposizione di una specifica tecnica in regola tecnica valida per l'omologazione in ambito nazionale delle apparecchiature dei terminali mobili d'utente del sistema radiomobile analogico pubblico di comunicazione operante nella banda dei 900 MHz, adottato con decreto ministeriale 5 gennaio 1995, n. 71
IL MINISTRO DELLE POSTE E DELLE TELECOMUNICAZIONIVisto il decreto 5 gennaio 1955, n. 71, che ha disposto la trasposizione di una specifica tecnica in regola tecnica valida per l'omologazione in ambito nazionale delle apparecchiature dei terminali mobili d'utente del sistema radiomobile analogico pubblico di comunicazione operante nella banda dei 900 MHz, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzella Ufficiale n. 63 del 16 marzo 1995; Considerato che, per errore materiale, l'originale del provvedimento trasmesso all'ufficio pubblicazione leggi e decreti del Ministero di grazia e giustizia si presenta manchevole di una pagina; Considerato che il Consiglio di Stato ha espresso il proprio parere favorevole nell'adunanza generale del 17 novembre 1994 sul testo integrale del provvedimento, comprensivo della pagina mancante nel testo originale; Vista la comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri a norma dell'ari. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (nota n. GM 88681/4267DL/CR del 13 maggio 1995); ADOTTA il seguente regolamento: Art. 1. 1. Al decreto 5 gennaio 1595, n. 71, citato nelle premesse, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale-a. 63 del 16 marzo 1995, nell'allegato 1, INTRODUZIONE, alla voce "vi. Manuali d'utente", dopo la lettera (a), sono aggiunte le seguenti disposizioni: «Gli utenti sono avvisati che per un uso soddisfacente dell'apparato e per la sicurezza personale, si raccomanda che nessuna parte del corpo deve trovarsi ad una distanza inferiore a 20 cm dall'antenna durante il funzionamento dell'apparato.
(b) I manuali d'utente per tutte le classi di terminali mobili dovranno includere la seguente avvertenza: E' consigliato agli utenti di spegnere l'apparato durante il rifornimento di carburante. (c) I manuali d'utente per le stazioni portatili e trasportabili delle classi 2, 3 e 4 dovranno includere le seguenti avvertenze: Spegnere il radiotelefono quando si e' in aereo; l'uso in aereo puo' essere pericoloso per le operazioni di quest'ultimo, crea disturbi alla rete cellulare ed e' illegale. La mancata osservanza di questa disposizione puo' condurre alla sospensione o al rifiuto del servizio telefonico cellulare al contravventore o ad una azione legale, oppure ad entrambe le cose. (d) I manuali d'utente di tutte le classi di terminali mobili devono includere la seguente avvertenza: Questo apparato e' omologato per la connessione alla Rete Cellulare del Sistema Radiomobile Analogico Pubblico di conversazione a 900 MHz. (e) Qualora si preveda la connessione di qualunque classe di terminali mobili a sorgenti di alimentazione o carica batterie che usano tensioni superiori a 50 Vca eff. o 75 Vcc, il manuale d'utente dovra' specificare la sorgente (i) d'alimentazione e il (i) carica batterie approvati per l'uso con il terminale mobile e includere la seguente dichiarazione: "Questo apparato puo' essere usato quando e' alimentato da (identificazione del (dei) carica batterie e/o dell' (degli) alimentatore (i). L'uso di altri dispositivi annullera' ogni certificazione dell'apparato e puo' essere pericoloso"».II presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Roma, 20 giugno 1995 Il Ministro: GAMBINO Visto, il Guardasigilli: MANCUSO Registralo alla Corte dei conti il 13 ottobre 1995Registro n. 6 Poste, foglio n. 104

Amici miei

Vi segnalo alcuni siti molto importanti e interessanti per mostrarvi ciò che il telegiornale e il giornale mai vi faranno vedere e mai vi faranno leggere:
http://www.margheraonline.it/
http://www.globalprject.info/
http://www.storiamestre.it/
http://www.verdinrete.it/ondakiller

Alcune massime

Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario.
George Orwell


Lo schiavo sta al padrone come l'uomo sta al denaro.

La realtà è come guardare da una finestra: puoi vederla con le tende tirate, oppure decidere di spostarle e guardare la realtà.

Cos'è l'uomo? E' l'inrisovibilità della domanda che ne determina la risposta.

Io conosco ciò che finora ho appreso e cioè nulla in confronto a ciò che devo ancora apprendere.
Antropo-Impressionista

Umanità perduta

Creata dal dolore,
figlia della gioia,
sublime sofferenza:
Poesia

La Belle Epoque

In questi anni d'inizio millennio riviviamo una sorta di Belle Epoque, crediamo che nulla ormai possa accadere nel nostro meraviglioso mondo: l' Europa unita le grandi alleanze ad ovest, il progresso, il benessere...
Dopo aver urtato l'iceberg circa un secolo e mezzo fa ci siamo rinchiusi nel salone di prima classe (la nostra magnifica Europa e l'altrettanto magnifico US) e balliamo bevendo champagne adulandoci e coccolandoci sull'ultimo tepore che la sala macchine del terzo mondo può ancora fornirci, prima che insieme alla terza classe di Cina e India (ma in generale il sud est asiatico inizi la sclata per la sopravvivenza verso i ponti superiori.
Ma si sa, le scialuppe di salvataggio sono già prenotate, per cui si tratterà di una lotta per la sopravvivenza, come forse mai ne ha vedute il nostro pianeta.
Forse il petrolio non basterà (spero) poichè ve lo immaginereste ancora come oggi il mondo, se circa due miliardi fra cinesi e indiani cominciano ad usare la macchina?
Ma non c'è da preoccuparsi poichè si torna a parlare di nucleare.
La sindrome cinese evidentemente non ha ancora contagiato molto gli animi, ma si sa ci vuole più di una tragedia (e soprattutto nel posto giusto, perchè finchè capita solo in URSS.. vabbè si sa.. i sovietici..) affinchè si cominci finalmente ad impiegare tecnologie che ci sono già.. ma che il mercato (questo grande fratello sconosciuto) fa costare caro.
E d'altra parte si sa che per convincere gente come gli italiani basta poco.. energia "pulita a basso costo" e tanto se fonde un reattore in Italia è lo stesso che se fonde in Svizzera o in Francia, no..?
Tanto ormai..

Affondiamo in prima classe


giovedì 8 novembre 2007

Luoghi per merci umane

I capannoni e le case chiamano strade, le strade chiamano auto e camion, e le auto delle case e i camion dei capannoni chaimano ancora strade.
E' così che l'invasione e l'erosione del suolo non conosce limiti se non il suo stesso limite fisico e territoriale costituito dalla disponibilità di suolo.
Un ciroclo vizioso senza fine che espande in una metastasi continua la periferia nel far west di ciò che resta delle campagne e dei territori attorno a Mestre.
Come modifica la vita di tutti i giorni questo modello di sviluppo che tutta l' Italia ci invidia?
E' questo l'unico modello di sviluppo possibile? Un modello masochista che lascia una pesantissima eredità territoriale alle future generazioni?
Cosa conta il contesto e il paesaggio che ci circonda tutti i giorni, che accoglie i luoghi dove abitiamo e i sentimenti che li attribuiamo? Non è infatti solo un problema ambientale..
Fino a che prezzo siamo disposti a pagare in termini umani e ambientali per il nostro "benessere"?
Una casa per non mettere mai il naso fuori di casa.



"Cieli tersi e orizzonti verdi circondano isole residenziali e amministrative" (F. Vallerani e M. Varotto 2006). La computer - grafica attenua i danni paesaggisitici e ambientali riducendo il tutto ad un gioco ad una perfetta "relatà virtuale". A destra si notano bene ciò che i miopi pianificatori del territorio vedono solo sul meraviglioso sinoglo e decontestualizzato progetto sul monitor del progettista.


Il casone di camapgna, spaesato in un territorio che non lo riconosce più, ecco cosa provoca la mancanza di cura del paesaggio, o semplicemente della propria memoria e del sentimento.

Uomo metafora della macchina

Concedetemi uno sfogo (o una riflessione a caldo?).
Ora basta vedere la scuola e il mondo dell'istruzione come un'ossessionanate preparazione al mondo del lavoro!
Il mondo del lavoro (ma io preferisco dire: il mercato del lavoro..) piega sempre più l'istruzione verso i suoi scopi, verso ciò di cui necessità, desiderando che la scuola prepari degli automi in grado in inserirsi perfettamente nei suoi perversi ingranaggi.
Ed ecco che spuntano in corsi fi formazione, una sorta di purgatorio per "quelli che non ce la fanno", un motivo in più per creare "ingranaggi umani" non pensanti.
Io vorrei (ma solo io?)che la scuola preparasse alla cosa più importante: il pensare.
Al di là dell'epistemologia nell'insegnamento del pensiero, l'importante sarebbe problematizzarlo e inserirlo nei contesti quotidiani e nella vita di tutti i giorni.
Vorrei cioè (sempre solo sio?)che crescessero generazioni più attente e responsabili nella storia della loro vita e dei problemi, conflitti e situazioni che si determinano nell' essere al mondo.

martedì 6 novembre 2007

Sera

M'illudo
d'immenso

Dove cammino

Mi manca
Il prato sotto casa
e l’albero;
mi manca
il tempo della festa
e la gioia fresca;
governa l’oblio
del nostro tempo:
l’orologio.
È tutto in cifre,
tutto è calcolato
anche la mia vita
è già scritta.
Mi manca
Il ciclo delle stelle
Del sole e della luna
L’odore del fiore
Della pioggia sull’ erba
E l’acqua sulla pelle.
Non li ho mai sentiti:
mi mancano.

domenica 4 novembre 2007


Antropologi di tutto il mondo: Avanti!

E' un appello: non facciamoci "rubare" il lavoro dai giornalisti, un impegno antroplogico deve essere prima di tutto sociale per superare la barriera che ci separa dall'idea che la gente ha di noi: non studiamo solo feste tradizionali e floklore popolare!
Dobbiamo uscire dai ranghi in cui vuole isolarci e confinarci la nostra società!
Io sono per un'antropologia che non può non essere schierata: daccordo sul relativismo culturale, ma non possiamo essere relativisti anche sul fronte etico; il nostro pensiero deve pesare su scelte importanti e non possiamo lasciare tutto in mano ad economisti e ingegneri, bensì lavorare insieme a codeste figure.
So che è una provocazioen in quanto in ambito scientifico abbiamo già dimostrato di pesare ma manca il confronto con la gente che ci sta attorno (parenti, amici e conoscenti).
Credo che dobbaimo riuscire a farci capire: a far capire chi siamo e cosa facciamo, quasi come un' etnografia.. at home!
Concludo il mio intervento facendo una domanda che so susciterà polemiche: considerato che l' Antropologia come scienza sociale nasce nel vecchio mondo, esiste una figura simile associalbile all' antropologo tradotta e interpretata in altre società e culture?

sabato 3 novembre 2007

Anti - Impressionismo

Come dipingerebbero oggi i nostri paesaggi i primi "antropologi del paesaggio"(e forse in un certo senso già anticipando le questioni relative all'antropologia "del rischio"?).
Cosa comparirebbe sulle tele di uomini come Turner, Monet, Van Gogh e Cezanne?
Si esaurisce tutto solo con un problema di estetica o c'è qualcosa d'altro nel profondo della questione?
Un post per commentare.

Senso di spaesamento

Le foto che seguono sono un estratto di una raccolta fotografica di denuncia dell'uso del suolo spregiudicato ed indiscriminato (che ho curato personalmente e che si trova quasi al completo pubblicata nel sito internet www.storiamestre.it), che aumenta la vulnerabilità sociale nonchè crea un senso di disorientamento rispetto alla percezione del paesaggio delle campagne venete, nelle persone che da decenni vivono ed interirizzano i luoghi, lasciando un senso di vuoto e tristezza interiore ora.
Il prezzo da pagare per il progresso e per un'idea di neoevoluzionismo del benessere, a Mestre da decenni comporta troppi sacrifici che ormai non si traducono che in un costante peggioramento dello spazio che ci circonda, da sempre piegato alla logica di un profitto a tutti i costi..compresi quelli "umani".
Come si fa ad essere "umani" in luoghi così, quando insieme agli edifici nel progetto di un computer, fra verde intenso e cieli tersi troviamo diseganti dalla computer grafica ometti virtuali sorridenti e camminanti nell'area pulita e nitida del nuovo complesso?
La solita differenza di percezione tra "realtà" e "virtualità" oppure tra mondo off-line e mondo on-line?




Ediliziare: una denuncia “antiedilizionista”.

Il nostro itinerario alla scoperta del nuovo “sacco di Mestre” può partire da un luogo simbolo della voracità di spazio che necessità questa città in continua espansione, la quale tocca ormai i 200 abitanti: cioè da Carpenedo.
Carpenedo infatti, fino alla fine del XIX secolo era un paese a se stante, distante meno di 2 chilometri dalle mura di Mestre nella seconda metà dell’ ‘800 si decise di realizzare l’attuale viale Garibaldi col fine di congiungere Mestre centro a Carpenedo.
La storia ci ha insegnato che al bel viale alberato (pensato come un boulevard per l’epoca), si affiancassero durante il dopoguerra e fino alla seconda metà del ‘900 i palazzi che tutt’ora si affacciano sul viale e che hanno determinato l’unione (o inglobamento?) definitivo di Mestre a Carpenedo.
Carpenedo tuttavia rimane ancora oggi un luogo “verde” rispetto al resto di Mestre, in quanto la vicinanza con ciò che resta del bosco che da il nome al paese (ora quartiere di Mestre) e la presenza di numerose ville, lo rende tutt’ora un posto tutto sommato vivibile, opaca memoria d’un passato veneto che riconosceva nella villa e nei suoi tesori, il nucleo della sua storia e della sua cultura.
L’itinerario dunque parte da piazza Carpenedo, alla fine di viale Garibaldi (per quanti provengono da via Palazzo o dalla parte della torre dell’orologio del castello di Mestre), restaurata da pochi anni, sulla quale si affaccia la chiesa dei ss. Gervasio e Protasio.
Girando a destra imbocchiamo via trezzo, la strada che conduce sul Terraglio ossia la statale (la cui direttrice risale al medioevo) la quale porta a Treviso passando per i paesi di Mogliano e Preganziol.
Via trezzo (FOTO DA CIMG 2761 A FOTO CIMG 2777) oltrepassato il passaggio a livello con annessa fermata del treno, è una strada fiancheggiata da entrambe i lati da numerose ville (più o meno antiche) con meravigliosi giardini, fatto eccezione per l’ultimo tratto in direzione del Terraglio, il quale presenta il muro di recinzione della caserma dell’esercito e alcuni anonimi condomini sul lato opposto.
Giunti sul Terraglio attendiamo il verde al semaforo e svoltiamo a destra, procedendo per circa 50 metri, poi al semaforo svoltiamo a sinistra imboccando via borgo pezzana.
Si tratta di una via, chiusa in seguito all’apertura del centro commerciale Auchan il quale si trova in via don Tosatto, cioè esattamente alla fine di via borgo Pezzana.
Tale strada presenta all’inizio, una bella barchessa di villa (?), poi sempre sulla sinistra procedendo in direzione dell’ Auchan, si trovano alcune palazzine di due piani e alcune villette, mentre a destra appena passati sotto al soprappassaggio della tangenziale sulla destra possiamo notare i resti di un vecchio fosso ora cementificato e più in là compaiono i primi campi, che fino a qualche anno fa ricoprivano l’intera zona giungendo fino a Zelarino distante circa 4 chilometri. (FOTO DA CIMG 2778 A FOTO CIMG 2785).
Dalle foto possiamo notare come appaia inesorabile e a tratti angosciante il radicale mutamento del paesaggio: accanto ad alcuni campi ancora seminati se ne trovano altri abbandonati, sullo sfondo si vede in tutta la sua arroganza l’opera di edificazione selvaggia costituita da nuove costruzioni simili a palazzi della Berlino Est: intere zone ricoperte di cemento per parcheggi, nuovi capannoni, sedi di uffici, nuovi monolocali, ecc.
In effetti da via borgo Pezzana possiamo già renderci conto dell’enorme opera di trasformazione perpetrata dall’uomo ai danni del territorio che l’ha sfamato per lunghi secoli e che ore annega nell’asfalto e nel cemento.
Giunti al termine di via borgo Pezzana, ci troviamo innanzi un bivio: procedere dritti in direzione del centro commerciale Auchan, oppure svoltare a destra in direzione di via don Tosatto.
Per ora il nostro percorso procede in direzione di questa seconda opzione, dunque imbocchiamo via don Tosatto, stando molto attenti qualora fossimo in bicicletta a prendere la pista ciclabile collocata sul lato opposto rispetto al quale veniamo, in quanto si tratta di una via a doppia corsia per automobili che sfrecciano molto al di sopra del limite di 50 concesso dal segnale.
Via don Tosatto taglia a metà, parallelamente alla tangenziale, la nuova zona a forte “sviluppo” edilizio, costeggiando il centro commerciale Auchan, il capannone di Norauto, la nuova sede della Brico, e nuovi mostri di cemento ancora da terminare da un lato, e la costruzione polifunzionale sede della ULSS con uffici, supermercati, bar e negozi, dall’altro.
Fermandoci ad ammirare il paesaggio in prossimità del capannone di Norauto possiamo osservare quanto contenuto nelle foto che seguono: da FOTO CIMG 2786 a FOTO CIMG 2792.
Sullo sfondo in direzione Zelarino possiamo notare la sagoma “trapezioidale” che rappresenta realizzazione del complesso del nuovo ospedale di Mestre, mentre tutto attorno il paesaggio dominato dalle gru, presenta profonde modifiche e sbancamenti di ciò che resta dei campi e della cultura contadina che li ha governati per secoli.
Seguendo via don Tosatto, giungiamo ad un rotonda che ci introduce a via don Peron, la strada che conduce ai capannoni dei centri commerciali del Decatholn e Media World.
Oltrepassati questi due ultimi capannoni giungiamo alla fine della strada (via don Tosatto che prosegue in via don Peron, è lunga circa 2 chilometri ed è rettilinea) ad una grande rotatoria che funge da crocicchio per le direzioni del Terraglio svoltando a destra e di Zelarino e Castelfranco a sinistra, imboccando il nuovo sovrappasso Arzeroni.
L’area adiacente ai centri commerciali del Decathlon e Media World è ancora in via di costruzione: vi si trovano i cantieri per il palazzo della Società Autostrade, il complesso dei residence “le due torri”, un nuovo centro commerciale e cinema multisala nonché altri due complessi per uffici ed appartamenti. FOTO CIMG da 2793 a 2821
La zona presenta una viabilità ancora da definire anche se le strade sono già pronte separate dalle nuove decine di rotatorie, dunque si possono ancora vedere da vicino i cantieri e lo sviluppo selvaggio e senza scrupoli di questa edilizia che guarda solo al guadagno fine a se stesso senza nessun tipo di vantaggio per la collettività.
L’ altro itinerario riparte dal bivio che avevamo incontrato alla fine di via borgo Pezzana, e consiste nel procedere lungo la “castellana” (la strada che da Mestre conduce a Castelfranco), lasciando alla nostra destra il centro commerciale Auchan, si attraversa il sottopassaggio ferroviario e immediatamente sulla destra oltrepassato il cantiere della nuova stazione ferroviaria, si vede il cantiere del nuovo ospedale: il più esteso della zona.
Procedendo per la pista ciclabile si può osservare alla nostra destra (in direzione di Zelarino) quanto riportato nelle foto da FOTO CIMG 2822 a FOTO CIMG 2835.
Si giunge quindi alla rotatoria la quale a destra conduce al nuovo sovrappasso Arzeroni, in direzione della recente via Giovanni Paolo II, mentre procedendo dritti si prosegue per la Castellana giungendo a Zelarino.
Da questa prospettiva provengono le foto da FOTO CIMG 2836 a FOTO CIMG 2855.
La zona antistante via Giovanni Paolo II compresa tra il cantiere del nuovo ospedale di Mestre e le prime case del centro abitato di Zelarino, è ancora coltivata e da un’idea di com’era tutta la zona ora in via di costruzione che era compresa tra la tangenziale e Zelarino!
Proprio così! Le nuove concessioni edilizie hanno “spinto” in avanti Mestre quasi ad inglobare il centro abitato distante appena 3,5 chilometri, determinando esattamente quanto avvenuto nel primo dopoguerra per l’abitato di Carpenedo!
Nei prossimi anni anche Zelarino verrà definitivamente inglobato nel mostro mangia terreno di Mestre, mai sazio di spazi, proprio come è avvenuto 50 anni fa per Carpenedo.
"Ediliziare" : una questione non solo ambientale..
Visto dall’alto di uno dei colli Euganei, o dal monte Tomba appena sopra Bassano del Grappa, il territorio veneto è una costellazione di quadratini bianchi e grigi più o meno alti.
Non riguarda solo la questione dell’abitare, ma anche e sopratutto quella dell’organizzazione del lavoro: fabbriche, capannoni industriali, aziende d’estrazione di ghiaie e sabbie dai fiumi, piazzali di imprese di spedizioni (l’autotreno è il vero padrone delle strade venete, nonché la causa principale del loro stato avanzato di deterioramento che si manifesta attraverso crepe e buche!).
Certo il "miracolo" nord est non è stato indolore, bensì ha certamente influito sulla vita, sulle abitudini e sulla psiche dei suoi attori sociali, più o meno volontari.
Una cultura contadina che nell’arco di pochi decenni diventa di piccoli imprenditori e operai ha avuto costi sociali e ambientali che oggi sono ancora perpetrati a causa di una mentalità iniziata negli anni ’60 e ’70 del lavoro a tutti i costi, del vivere per lavorare, la cosiddetta cultura del "darsi da fare".
Dopo una pausa di stasi durante la fine del millennio, ora pare essere ricominciata la corsa folle e ancora più pericolosa all’edilizia, poiché il mercato del mattone e dell’ edile è stato dall’inizio del nostro "miracolo" il vero protagonista anche se spesso latente dello "sviluppo veneto", osannato e inneggiato e purtroppo preso come modello anche nel resto d’Italia.
Dovendo considerare la questione in modo "olistico", è chiaro che il paesaggio nel quale viviamo riflette la società che l’ha generato, e che pare avere dimenticato (volontariamente o meno) il suo passato.
Da quando la società contadina veneta, con i suoi sogni di opulenza e benessere è stata invasa dal consumismo post-bellico statunitense, è divenuta la brutta copia di quella USA.
Sono nati nuovi miti: benessere (cibo in abbondanza e bella casa) e velocità (il famoso mito dell’automobile che oggi sta riacquistando nuovo vigore grazie sempre agli USA che hanno pensato bene di esportare nelle piccole e intasate stradine italiane la moda del SUV, in genere guidato da una sola persona. La moda del SUV è l’antitesi del capitalismo: raggiungere il massimo scopo con la minima energia e spesa, cosa che il SUV con i suoi 5 Km di media al litro e le sue dimensioni raggiunge perfettamente!), che hanno caratterizzato dagli anni ’50 in poi tutto la società del triveneto, anche se c’è da ricordare che tale idea (non il modello) di sviluppo ha riguardato prima di tutto il nord-ovest, nel famigerato triangolo industriale Torino-Milano-Genova.
Dall’Italia fascista contadina, si è passati molto (decisamente troppo rapidamente), ad un modello di sviluppo che rasenta quello che vivono oggi paesi quali India e Cina, senza troppi vincoli ambientali, per comodità o per ignoranza, con l’unico scopo di raggiungere rapidamente il "benessere", naturalmente come da sempre nella storia, quello delle classi dirigenti.
In questa cieca rincorsa al denaro facile e immediato abbiamo perso per strada altrettanto rapidamente una cultura che ci aveva insegnato a convivere col nostro territorio, a trarne beneficio col minimo impatto, abbiamo perso tutti quei saperi locali (detti anche antropologicamente local Knowledge) che ci davano una certa armonia nei confronti del territorio, che aveva rispetto delle terra e ne sapeva sfruttare i valori, creando radici profonde empiriche e solide nel corso dei secoli.
Ma l’arroganza di alcune branchie delle scienza, al servizio di gente senza scrupoli, disposta ad investire grossi capitali pur, di guadagnare (o sarebbe meglio dire: speculare) ha cancellato tali saperi che si erano tramandati generando la nostra storia e la nostra cultura.
Così fiumi e fossati sono stati per lunghi tratti cementificati, con l’utopia di governarne meglio le acque, ampie porzioni di alberi abbattuti in nome di una pianificazione del territorio, che mostra tutta la sua arroganza nei confronti dell’ambiente con il desiderio folle di poterlo controllare e plasmare a proprio piacimento senza pagarne il prezzo.
Così è nata porto Maghera (Marghera era stata pensata come città giardino già alla fine del XIX secolo), di cui paghiamo ancora oggi le conseguenze, così è nata Mestre caotica e disordinata, a tratti più simile ad un grande dormitorio che ad una città, con questa mentalità d’assoluta mancanza d’affetto e rispetto nei confronti del nostro territorio, sempre in nome dello sviluppo (e quindi chi lo critica e lo contrasta è bollato come retrogrado, ignorante e nemico della modernità e del benessere), sta nascendo come un quartiere delle Berlino Est la nuova area commerciale tra Mestre e Zelarino.
Certo il mondo non è tutto bianco o tutto nero, tuttavia questa nuova "cultura" accanto agli indiscussi "goods" ha generato molti, troppi "bads".
Vecchie malattie stanno sparendo ma se ne affacciano di nuove legate al nostro stile di vita e in compenso i giovani sono avvolti insieme ai "non luoghi" cioè ai paesaggi che li ospitano facendoli crescere utopisticamente "sani", anche insieme ai "non valori" ; presi come siamo da questo relativismo assoluto che da dato di fatto è diventato esso stesso valore.
Dunque per rispondere ad esigenze di "benessere" è necessario costruire anonimi capannoni per cinema multisala, oppure ancora centri commerciali, tutti che vendono tutto e sempre le stesse cose, quindi per portare soldi a questa macchinetta bisogna costruire strade, sulle strade ci corrono auto sempre più potenti: nuovi miti e nuovi valori di gente senza storia.
Come facciamo a lamentarci delle antenne per cellulari nel parchi pubblici pericolose (ormai scientificamente per le onde e i campi elettromagnetici), se siamo i primi (rimbambiti dalla pubblicità) a stare ore attaccati al cellulare, in attesa che prima o poi, che qualcuno ammetta finalmente che fa male!?
Ci lamentiamo delle discariche e dei termovalorizzatori ( un bel nome per chiamare gli inceneritori), se siamo i primi a consumare e gettare tutto insieme senza preoccuparci ne di risparmiare ne della raccolta differenziata che scoccia tantissimo avere in casa tutti quei contenitori..
Tutto nel nome del benessere, ma a questo punto non bisognerebbe ridefinire il benessere?
Infine l’ultimo "bads" prodotto dalla nostra cultura è certamente il turismo (anche quello "culturale"), il quale ha come unico scopo fare soldi, visto che ormai come il lavoro, anche il turismo ha il suo mercato, e dunque necessità di gente che vede solo cifre e non paesaggi o opere d’arte.
Ecco che dunque il turismo deve offrire servizi, e cosa c’è di meglio di un bel albergo con piscina termale, solarium e palestra per passare la settimana di ferie? Ecco dunque giustificata la costruzione di anonimi palazzoni in zone d’interesse storico e naturalistico, nel nome dello "sviluppo del turismo" con l’utopia che portando soldi i turisti portino benessere per tutti!
D’altronde con ritmi di lavoro inumani, in nome della competizione e del falso mito della velocità, come biasimare i poveri "turisti" che non hanno nessuna voglia di apprezzare un territorio nel suo complesso già profondamente deturpato, e quindi preferendo rifugiarsi nel nuovo albergo a 4 stelle dotato di tutti i confort e di tutti i servizi.
Il turismo come fine e non come mezzo per la divulgazione della conoscenza e degli antichi saperi è l’ ultimo nuovo nemico del territorio, poiché per arrivare in albergo ci vuole l’auto e l’auto ha bisogno di nuove strade (sempre più grandi visto l’aumentare delle dimensioni delle automobili) e così via, in un circolo vizioso che non si spezza più.
Come fare ad arrestare o almeno modificare tutto questo?
Una ricetta, ammesso che esista, purtroppo non la possiedo, tuttavia credo che per cominciare, sarebbe utile parlarne, diffondere queste critiche e se anche una persona ce le riconosce, abbiamo già fatto una rivoluzione.