"Ediliziare" : una questione non solo ambientale..
Visto dall’alto di uno dei colli Euganei, o dal monte Tomba appena sopra Bassano del Grappa, il territorio veneto è una costellazione di quadratini bianchi e grigi più o meno alti.
Non riguarda solo la questione dell’abitare, ma anche e sopratutto quella dell’organizzazione del lavoro: fabbriche, capannoni industriali, aziende d’estrazione di ghiaie e sabbie dai fiumi, piazzali di imprese di spedizioni (l’autotreno è il vero padrone delle strade venete, nonché la causa principale del loro stato avanzato di deterioramento che si manifesta attraverso crepe e buche!).
Certo il "miracolo" nord est non è stato indolore, bensì ha certamente influito sulla vita, sulle abitudini e sulla psiche dei suoi attori sociali, più o meno volontari.
Una cultura contadina che nell’arco di pochi decenni diventa di piccoli imprenditori e operai ha avuto costi sociali e ambientali che oggi sono ancora perpetrati a causa di una mentalità iniziata negli anni ’60 e ’70 del lavoro a tutti i costi, del vivere per lavorare, la cosiddetta cultura del "darsi da fare".
Dopo una pausa di stasi durante la fine del millennio, ora pare essere ricominciata la corsa folle e ancora più pericolosa all’edilizia, poiché il mercato del mattone e dell’ edile è stato dall’inizio del nostro "miracolo" il vero protagonista anche se spesso latente dello "sviluppo veneto", osannato e inneggiato e purtroppo preso come modello anche nel resto d’Italia.
Dovendo considerare la questione in modo "olistico", è chiaro che il paesaggio nel quale viviamo riflette la società che l’ha generato, e che pare avere dimenticato (volontariamente o meno) il suo passato.
Da quando la società contadina veneta, con i suoi sogni di opulenza e benessere è stata invasa dal consumismo post-bellico statunitense, è divenuta la brutta copia di quella USA.
Sono nati nuovi miti: benessere (cibo in abbondanza e bella casa) e velocità (il famoso mito dell’automobile che oggi sta riacquistando nuovo vigore grazie sempre agli USA che hanno pensato bene di esportare nelle piccole e intasate stradine italiane la moda del SUV, in genere guidato da una sola persona. La moda del SUV è l’antitesi del capitalismo: raggiungere il massimo scopo con la minima energia e spesa, cosa che il SUV con i suoi 5 Km di media al litro e le sue dimensioni raggiunge perfettamente!), che hanno caratterizzato dagli anni ’50 in poi tutto la società del triveneto, anche se c’è da ricordare che tale idea (non il modello) di sviluppo ha riguardato prima di tutto il nord-ovest, nel famigerato triangolo industriale Torino-Milano-Genova.
Dall’Italia fascista contadina, si è passati molto (decisamente troppo rapidamente), ad un modello di sviluppo che rasenta quello che vivono oggi paesi quali India e Cina, senza troppi vincoli ambientali, per comodità o per ignoranza, con l’unico scopo di raggiungere rapidamente il "benessere", naturalmente come da sempre nella storia, quello delle classi dirigenti.
In questa cieca rincorsa al denaro facile e immediato abbiamo perso per strada altrettanto rapidamente una cultura che ci aveva insegnato a convivere col nostro territorio, a trarne beneficio col minimo impatto, abbiamo perso tutti quei saperi locali (detti anche antropologicamente local Knowledge) che ci davano una certa armonia nei confronti del territorio, che aveva rispetto delle terra e ne sapeva sfruttare i valori, creando radici profonde empiriche e solide nel corso dei secoli.
Ma l’arroganza di alcune branchie delle scienza, al servizio di gente senza scrupoli, disposta ad investire grossi capitali pur, di guadagnare (o sarebbe meglio dire: speculare) ha cancellato tali saperi che si erano tramandati generando la nostra storia e la nostra cultura.
Così fiumi e fossati sono stati per lunghi tratti cementificati, con l’utopia di governarne meglio le acque, ampie porzioni di alberi abbattuti in nome di una pianificazione del territorio, che mostra tutta la sua arroganza nei confronti dell’ambiente con il desiderio folle di poterlo controllare e plasmare a proprio piacimento senza pagarne il prezzo.
Così è nata porto Maghera (Marghera era stata pensata come città giardino già alla fine del XIX secolo), di cui paghiamo ancora oggi le conseguenze, così è nata Mestre caotica e disordinata, a tratti più simile ad un grande dormitorio che ad una città, con questa mentalità d’assoluta mancanza d’affetto e rispetto nei confronti del nostro territorio, sempre in nome dello sviluppo (e quindi chi lo critica e lo contrasta è bollato come retrogrado, ignorante e nemico della modernità e del benessere), sta nascendo come un quartiere delle Berlino Est la nuova area commerciale tra Mestre e Zelarino.
Certo il mondo non è tutto bianco o tutto nero, tuttavia questa nuova "cultura" accanto agli indiscussi "goods" ha generato molti, troppi "bads".
Vecchie malattie stanno sparendo ma se ne affacciano di nuove legate al nostro stile di vita e in compenso i giovani sono avvolti insieme ai "non luoghi" cioè ai paesaggi che li ospitano facendoli crescere utopisticamente "sani", anche insieme ai "non valori" ; presi come siamo da questo relativismo assoluto che da dato di fatto è diventato esso stesso valore.
Dunque per rispondere ad esigenze di "benessere" è necessario costruire anonimi capannoni per cinema multisala, oppure ancora centri commerciali, tutti che vendono tutto e sempre le stesse cose, quindi per portare soldi a questa macchinetta bisogna costruire strade, sulle strade ci corrono auto sempre più potenti: nuovi miti e nuovi valori di gente senza storia.
Come facciamo a lamentarci delle antenne per cellulari nel parchi pubblici pericolose (ormai scientificamente per le onde e i campi elettromagnetici), se siamo i primi (rimbambiti dalla pubblicità) a stare ore attaccati al cellulare, in attesa che prima o poi, che qualcuno ammetta finalmente che fa male!?
Ci lamentiamo delle discariche e dei termovalorizzatori ( un bel nome per chiamare gli inceneritori), se siamo i primi a consumare e gettare tutto insieme senza preoccuparci ne di risparmiare ne della raccolta differenziata che scoccia tantissimo avere in casa tutti quei contenitori..
Tutto nel nome del benessere, ma a questo punto non bisognerebbe ridefinire il benessere?
Infine l’ultimo "bads" prodotto dalla nostra cultura è certamente il turismo (anche quello "culturale"), il quale ha come unico scopo fare soldi, visto che ormai come il lavoro, anche il turismo ha il suo mercato, e dunque necessità di gente che vede solo cifre e non paesaggi o opere d’arte.
Ecco che dunque il turismo deve offrire servizi, e cosa c’è di meglio di un bel albergo con piscina termale, solarium e palestra per passare la settimana di ferie? Ecco dunque giustificata la costruzione di anonimi palazzoni in zone d’interesse storico e naturalistico, nel nome dello "sviluppo del turismo" con l’utopia che portando soldi i turisti portino benessere per tutti!
D’altronde con ritmi di lavoro inumani, in nome della competizione e del falso mito della velocità, come biasimare i poveri "turisti" che non hanno nessuna voglia di apprezzare un territorio nel suo complesso già profondamente deturpato, e quindi preferendo rifugiarsi nel nuovo albergo a 4 stelle dotato di tutti i confort e di tutti i servizi.
Il turismo come fine e non come mezzo per la divulgazione della conoscenza e degli antichi saperi è l’ ultimo nuovo nemico del territorio, poiché per arrivare in albergo ci vuole l’auto e l’auto ha bisogno di nuove strade (sempre più grandi visto l’aumentare delle dimensioni delle automobili) e così via, in un circolo vizioso che non si spezza più.
Come fare ad arrestare o almeno modificare tutto questo?
Una ricetta, ammesso che esista, purtroppo non la possiedo, tuttavia credo che per cominciare, sarebbe utile parlarne, diffondere queste critiche e se anche una persona ce le riconosce, abbiamo già fatto una rivoluzione.
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